Perché mai lo Stato vuole conoscere quante sono, come si chiamano, dove e quando sono nate le “persone che hanno dimora abituale nell’alloggio” in cui vivo? Che diritto ha di sapere se ho oppure non ho una doccia (domanda 3.4), un impianto di riscaldamento (4.1), un posto auto (5.2) o una connessione a internet (6.4)? E perché pretende che gli dica a che ora esco di casa per andare al lavoro (7.6) o se ho qualche difficoltà nel salire e scendere le scale (8.3)? Il nuovo censimento Istat che sta arrivando nelle case degli italiani è un’intrusione illegittima, costosa e inutile nella vita privata di ciascuno di noi.
Il censimento costa l’astronomica cifra di 590 milioni di euro (il doppio di quello di dieci anni fa) e non serve palesemente a nulla: “permetterà di acquisire informazioni utili a comprendere meglio la realtà in cui viviamo – ci scrive il presidente dell’Istat nella lettera minatoria che accompagna il questionario – e ad assumere scelte più consapevoli da parte delle istituzioni”. Fantastico! Per sapere com’è fatta male l’Italia, casomai venisse loro in mente di migliorarla, le “istituzioni” hanno bisogno di spendere più di mezzo miliardo costringendomi a compilare un questionario tanto sciocco quanto intrusivo.
È infatti in gioco, soprattutto, una questione di principio. Ogniqualvolta lo Stato limita la mia libertà intromettendosi nella mia coscienza, nella mia famiglia o nella mia proprietà, deve avere un motivo molto valido per farlo: per esempio, ho commesso un crimine. Ma se non faccio nulla di socialmente pericoloso, lo Stato deve restarsene fuori dalla mia porta di casa. Se entra, commette un crimine. Ogni raccolta di dati sulla mia vita privata è una violazione del diritto naturale alla protezione della mia persona, e come tale è illegittima.
La multa per chi sceglie la disobbedienza civile va da 200 a 2000 euro; in alternativa, per difendersi dallo Stato totalitario e impiccione, si può sempre rispondere a casaccio.
tratto da Thefrontpage.it
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